Calcio e Coronavirus: quale il futuro del nostro calcio

Il nostro blog ha il piacere di raccogliere le riflessioni di molti addetti ai lavori sulla tematica “calcio e coronavirus” la redazione ha il piacere di raccontare le riflessioni dell’allenatore della Juniores Nazionale della società Milano City FC Gianluca Porro ex giocatore professionista di Empoli, Pisa, Ascoli e Varese su questo particolare momento che stringe il nostro calcio e la nostra vita di tutti i giorni.

“Stiamo vivendo un periodo che probabilmente i figli dei nostri figli studieranno sui libri di storia, che i più fortunati racconteranno ai loro nipoti, che ha segnato e ancora sta segnando e viene da chiedersi ancora per quanto segnerà tutto e tutti, e che tanti stanno dicendo che provocherà molto cambiamento, anzi qualcuno si è spinto oltre affermando che “niente sarà più come prima”. Va da sé che sia complicato affrontare l’argomento che ci viene proposto da questa bella iniziativa senza cadere nella presunzione di sapere (e forse nemmeno di ipotizzare) cosa potrà accadere e come il nostro amato “pianeta calcio” saprà reagire a un dramma simile che non ha risparmiato davvero alcun settore.

Si potrebbe fare un tentativo di analisi e sintesi con una metafora dello scenario attuale messo in parallelo con quello che più ci piace e piace ai nostri ragazzi, i nostri bambini, quello che ci rende malinconici ma anche carichi nell’attesa della ripresa: giocare una partita dopo l’altra per arrivare a una vittoria!

Anzitutto, quando ci apprestiamo a scendere in campo, quello che possiamo fare (e quello che dobbiamo insegnare ai nostri bambini e ai nostri allievi e che dobbiamo sempre ricordare a noi stessi) è rispettare l’avversario, soprattutto quando non lo si conosce, sostanzialmente quello che ci è stato chiesto in ogni modo possibile fino ad arrivare a implorarci di stare in casa: il rispetto è (o, verrebbe da dire, dovrebbe essere) colonna portante della nostra vita in generale e del nostro amico “calcio” nello specifico.

Quando affrontiamo una gara dobbiamo poi mettere in campo le nostre conoscenze, i nostri ragazzi dovranno aprire il cassetto delle informazioni ed estrarre da esso quelle che servono loro per affrontare al meglio delle loro possibilità l’impegno. Ma quel cassetto deve essere stato riempito: questo vuol dire tanto! Vuol dire che dobbiamo possedere e aver fornito ai nostri giocatori quel bagaglio di conoscenze che costituiscono il loro arsenale per affrontare la battaglia. Ecco che oggi, quando ci siamo ritrovati smarriti e soli, bombardati da pseudo informazione e da decreti molto spesso inadeguati, il nostro bagaglio personale si è rivelato utile e ci ha sostenuto e aiutato e che, aspetto decisamente molto importante, laddove le nostre conoscenze non arrivavano (a me è successo in continuazione), ci siamo sentiti scossi e stimolati ad informarci e ad apprendere: capiamo molto bene l’analogia. Quello a migliorarsi e ad accrescere il background formativo e cognitivo è un altro input decisivo per chi si accosta al e vive sul “pianeta calcio”, la voglia di apprendere e imparare gioca un ruolo determinante in tutti noi e nei nostri ragazzi e la presunzione di onniscienza è nemico pericoloso cui opporre invece una sete continua di crescita senza vergognarsi ma al contrario contenti di pronunciare “non lo so, lo imparo volentieri”. Più conosceremo, maggiore sarà la quantità e la qualità degli strumenti che potremo adoperare nella nostra competizione; meno conosceremo e maggiori possibilità di avere la meglio su di noi avrà l’avversario; ma anche in questo difficile frangente, quando ci si confronta con qualcuno più forte, l’umiltà di riconoscerlo e quindi cercare di moltiplicare gli sforzi, ci fornisce delle opportunità nuove e forse anche più efficaci per lottare e provare a portare a casa il risultato.

Stiamo dentro alla nostra partita: un elemento che ha determinato le fortune di pressoché tutte le squadre vincenti è stato senza dubbio l’unità di intenti. Nel nostro amato mondo una parola inflazionata è il famosissimo “gruppo” ma onestà vorrebbe che a questa parolina magica si dessero contenuti. Personalmente non ricordo nemmeno quante volte dall’età di 8 anni, quando ho iniziato a calcare i campi di terra di periferia, fino ad oggi che ne ho 41 e mi sono avventurato nella gestione di una scuola calcio facendone (o provando a farne) il mio lavoro, ho sentito l’espressione “non c’è gruppo” e non nascondo che mi ha sempre provocato un certo fastidio sia quando aveva ragionevoli fondamenta (comunque mai esplicitate da chi la usava), sia quando ne era assolutamente privo. Per come ho maturato l’idea e l’esperienza di gruppo mi sono convinto (ma sarei contento di aggiungere conoscenze all’opinione che mi sono costruito) che ciò che forse meglio lo definisce è la lotta compatta, determinata e soprattutto solidale di un nucleo di persone in unità di intenti condivisi verso un obiettivo comune. E’ quanto di maggiormente difficile ma allo stesso tempo stimolante cerchiamo di trasmettere ai nostri ragazzi di tutte le età e quando ci si riesce gli effetti sono probabilmente la maggiore gratificazione che ci viene regalata oltre che una delle armi più potenti di cui disporre. Le più grandi squadre della storia hanno senza dubbio avuto questo comune denominatore e non mi riferisco solo ed esclusivamente a quelle che hanno riportato vittorie o cicli vincenti ma a tutte quelle che, di anno in anno, centrano i propri obiettivi: l’esempio vissuto è quello di gruppi che, in mezzo a mille difficoltà, arrivano magari ad una salvezza che acquista valori inimmaginabili e che entrano di diritto nei migliori ricordi di chi le ha vissute o, ancora più bello, quei gruppi con cui si sono trascorse da bambini stagioni particolari o magari si è partecipato a tornei speciali che hanno lasciato un segno tanto da ricordarli a distanza di decenni facendo addirittura riaffiorare nella mente limpidi momenti di quegli anni. Siamo nel cuore della partita, siamo davanti allo specchio impietoso del momento attuale di fronte al quale quell’avversario con quel nome e numero sulla maglia, “COVID 19”, ci ha posto. Ci siamo scoperti fragili da soli, bisognosi dell’altro, alla ricerca di sostegno, di conforto, di consiglio ma pronti anche a dare tutto questo, pur nel nostro piccolo, a chi ce lo ha implorato, lo abbiamo gridato addirittura dai balconi: senza vergogna, senza pregiudizi, senza paura di mettere a nudo tutte le nostre fragilità che si sono trasformate in forza granitica quando ci siamo riscoperti uniti nella lotta che stiamo affrontando, quando ci siamo identificati come “gruppo”. Ed ecco che un gruppo sa reagire alle difficoltà e alle avversità più dure, sa tendere la mano al compagno che la chiede, scatena forze che non sapeva nemmeno di avere e riesce a fare quello che, fin da bambini, quando abbiamo voluto diventare “cittadini del pianeta calcio”, ci è stato chiesto di imparare: dare il massimo di sé, dare tutto per quel nucleo che lotta fianco a fianco, senza risparmiarsi e, quando esci dal campo così, la partita è vinta! Certo questa tediosa analisi è quella di un uomo di campo, di un istruttore (o presunto tale); direttori sportivi e presidenti, segretari e team manager, magazzinieri e massaggiatori e  potranno obiettare che il loro lavoro e le loro mansioni si esplicano fuori dal campo di gioco. Ma cari addetti ai lavori in ognuna di queste sfaccettature potrete ritrovare moltissime assonanze con quelle che sono le vostre attività, decisive, fondamentali e imprescindibili per raggiungere lo scopo comune; in fondo si è fatto un parallelo tra una partita e la vita quotidiana: benché ora essa risulti sconvolta, credo possiate convenire che le armi poco sopra descritte e altre che, se si andasse avanti, si potrebbero analizzare come strumenti per giocare al massimo delle proprie forze, sono le stesse che nel quotidiano dovrebbero armare le nostre e le vostre volontà nella determinazione a rendere al meglio che ci è consentito e, perché no, superare anche questo limite e andare oltre il “faccio il possibile”.

Siamo però alla prima di una serie di sfide che ci attendono, ne siamo consci e umanamente preoccupati. Arrivare alla ripresa sarà una partita lunga, con tante incognite e tante altre asperità che troveremo sul cammino. Dovremo vincere la diffidenza e infondere quelle sicurezze che anche le famiglie e i bambini avranno perso, toccati e intimoriti dallo spettacolo che li ha visti subire inermi il brusco stop delle loro belle abitudini e dovremo far riesplodere l’entusiasmo: il compito sarà arduo e ancora dovremo fare appello a tutte le nostre forze, risorse, unità di intenti, conoscenze e avere rispetto delle situazioni che ci si presenteranno.

Ci troveremo a fare i conti che non torneranno e ci vedranno in sofferenza e dovremo reinventarci per rilanciarci e, allo stesso tempo, accendere delle speranze. C’è la speranza che i piani altiguardino verso il basso e tendano una mano concreta in aiuto di chi ne avrà reale e ingente bisogno (e saremo in tanti); un aiuto a quel 97% che costituisce la popolazione del nostro caro pianeta calcio, il micro, anzi macro cosmo dilettantisco che include una miriade di ulteriori micro, anzi macro cosmi (dalla serie D al CSI, dai settori giovanili alle scuole calcio), quelli che contribuiscono in modo serio e sostanzioso a quell’ 1% del PIL sudando ogni secondo perché non possono assolutamente sperare di contare sugli introiti che riceve il restante 3% della popolazione dei loro concittadini, ossia i Re Mida del calcio davanti a tutti ma anche le serie minori professionistiche, soprattutto la tanto cara bistrattata Lega Pro, che comunque saranno a loro volta in sofferenza pur con strade di ripresa meno ripide rispetto agli “Everest” a cui si troverà di fronte la popolazione dei dilettanti.  Questa speranza si accompagna a quella che dovrà per forza vedere coinvolti anche i Palazzi del Governo, perché la FIGC e le Leghe, in autonomia, non avranno la forza di sostenere gli aiuti che si renderanno necessari ma allo stesso tempo non potranno non considerare anche questo aspetto; un Governo che avrà senza dubbio mille altre situazioni da esaminare e cercare di risolvere, sicuramente prioritarie rispetto a questa, ma che dovrà quantomeno provare a dare ascolto e cercare soluzioni. Ma, lo si può capire, così dipende da troppi e da troppe variabili. Noi non dovremo, e questo è bene stamparselo nel cervello a caratteri cubitali, stare con le mani in mano nell’atteggiamento di coloro a cui è dovuto qualcosa: tradiremmo proprio quegli elementi poco sopra esaminati, quei valori che caratterizzano il nostro sport, quello che ci insegna a sudare, lottare, fare sacrifici, cadere e rialzarsi, piangere e gioire, avere equilibrio e determinazione e non so quanto altro ancora, quello che ha consegnato a me, a tantissimi di noi e, cosa più importante, consegna ai bambini che vi si accostano assieme al lavoro quotidiano delle famiglie e dei contesti sociali con cui entrano in contatto, quel bagaglio di crescita che determinerà chi e come saremo nella vita.

C’è in gioco tanto, tantissimo, forse tutto: avremo bisogno di ricevere aiuto ma anche di dare aiuto, sotto ogni forma, da chiunque possa provenire o a chiunque potremo fornirlo, riscoprendo la battaglia solidale, quella che in questo momento storico ci ha fatto scendere ma anche asciugato qualche lacrima, ci ha reso più consapevoli delle nostre fragilità, ci fa tornare a essere un po’ più sognatori e meno arrivisti, ci chiede di moltiplicare le nostre energie facendo di più e meglio e di nuovo laddove sarà possibile stimolarci e riuscirci. Ma il patto che dobbiamo stringere è quello di darsi da fare il doppio e lamentarsi la metà, far valere le richieste che avanzeremo ma non adagiarci su di esse, provare a vedere l’occasione nella situazione e guardare avanti: lo dobbiamo al passato e al futuro, cioè ai nostri ragazzi e ai nostri genitori che ci hanno mostrato la loro indomita capacità di resistere e sorridere alla vita! E lo dobbiamo anche a noi stessi, “capitani della nostra anima”! (cit.: “INVICTUS”, poesia di W.E. Henry).

Chiedendo scusa per essere stato tanto prolisso, ringrazio chi avrà voluto leggere e chi mi ha dato possibilità di esprimermi e auguro a tutti “FORZA E CORAGGIO”!

Gianluca Porro

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